mercoledì 20 maggio 2009

La legione manipolare e il confronto con le falangi ellenistiche

La legione (da legio=scegliere quindi indica la leva militare) manipolare compare all'incirca durante la seconda guerra sannitica (326-304 a.C.), questa tipologia di legione, rispetto allo schieramento falangitico mutuato dai greci durante l'età monarchica, consente una maggiore agilità e dinamicità dell'esercito e questa era una prerogativa fondamentale nel terreno montuoso e impervio del Sannio.
In questa sede studieremo solo l'armamento e la composizione delle legioni, non la loro base di arruolamento fondata sulle classi e sulle centurie per mancanza di spazio; la legione come unità conta al suo interno circa 4200 fanti e 300 cavalieri ma a volte le legioni venivano portate anche a 5000 uomini e così diventavano legioni "forti" come nella battaglia di Canne.
Come indica il nome la legione manipolare si basa sui manipoli, il manipolo è l'unità tattica di base composta da due centurie da 60 uomini ciascuna, i fanti erano poi divisi in tre linee da 1200 hastati, 1200 principes e 600 triarii tutti riuniti in 10 manipoli per linea più 1200 velites.
I velites sono i soldati più giovani e poveri dello schieramento con il compito di fungere da schermagliatori e proteggere le linee dai tiri avversari e sono armati con giavellotti o fionde e con un piccolo scudo rotondo da 3 piedi chiamato parma e una spada, poi vengono gli hastati, i più giovani della fanteria pesante, protetti da uno schiniere in bronzo per la gamba sinistra e un elmo in bronzo del tipo montefortino più un piccolo pettorale per proteggersi dai colpi nemici insieme ad un grande scudo ovale e convesso da circa 120 per 70 cm. del peso approssimativo di 10 k. mentre per l'attacco sono dotati di 2 pila ( giavellotti appesantiti con corta gittata ma grande potere di penetrazione) e un gladius (una spada a doppio taglio e con una punta molto pronunciata in grado di causare ferite gravissime) oltre che di un coltello o pugio.
La seconda linea della legione è costituita dai principes che sono i soldati di circa 25-30 anni e quindi i più forti, armati come gli astati per l'attacco hanno il vantaggio di potersi permettere una lorica hamata (una maglia di ferro di 15 k.) per protezione; in terza linea ci sono i triarii, sono i soldati più esperti, veterani e ricchi di tutta la legione (infatti contano la metà degli uomini rispetto agli altri manipoli) e perciò possono permettersi armature migliori anche se sono ancora armati di lancia o hasta per tradizione della legione oplitica.
I manipoli di hastati, poi dei principes, poi dei triarii, sono disposti in modo alternato come i colori di una scacchiera e questo consente ai manipoli di hastati di ritirarsi tra quelli dei principes quando sono esausti, quindi il fronte nemico ha sempre davanti dei manipoli freschi o perlomeno più freschi rispetto alle proprie forze; Polibio ci dice che generalmente il console aveva ai suoi ordini due legioni di romani più 2 di alleati ma questi dovevano fornire un quantitativo doppio di cavalleria, i romani non hanno mai dato troppa importanza alla cavalleria tanto che sul campo di Canne avranno ca. 76000 fanti ma solo 6000 cavalieri contro i 10000 di Annibale.
Questo tipo di formazione consente una libertà di movimento maggiore perché, benché a volte si debba formare un muro di scudi, ogni soldato protegge solo se stesso e anche per questo è progettato lo scutum cioè per coprire tutta la figura del soldato e non il suo compagno come gli opliti; il manipolo è indipendente anche se deve mantenere la linea e questo, unito ad un addestramento adatto, alla grande quantità di pila scagliati sul nemico e alla tradizionale e radicata idea di virtus romana valida soprattutto per i guerrieri, è ciò che pone la legione manipolare, quando è in condizione favorevole, in superiorità sulla falange sia oplitica sia macedone.
Si è detto che la falange, soprattutto quella macedone, opera al meglio quando ha i fianchi coperti da fanteria leggera e cavalleria e infatti uno dei più grandi comandanti ellenistici, cioè Pirro, sbarcò in itali con ca. 20000 fanti 3000 cavalieri e 3000 tra arcieri e frombolieri più 20 elefanti da guerra indiani, quindi aveva quasi 1/5 delle sue forze in cavalleria più molte truppe da tiro, e infatti perse la guerra non perché sconfitto dai romani ma perché dopo 3 battaglie (Eraclea, Ascoli d'Apulia, Maleventum) di cui 2 vinte non aveva più forze fresche e soprattutto addestrate mentre i romani ricreavano ogni esercito sconfitto.
Infatti la falange ha il potenziale necessario per sconfiggere la legione, ogni legionario in prima linea ha 2 giavellotti da tirare sui falangiti ma esauriti questi ha solo una spada e uno scudo contro cinque sarisse che gli sono puntate contro, quindi non può ne avvicinarsi ai nemici ne scappare o allontanarsi e spostarsi tanto che a Cinocefale:"Filippo era più forte sull'ala destra perché era venuto giù dalle alture e aveva fatto impeto contro i romani con tutta la sua falange, scudo a scudo, come una potente muraglia di aste e caricava con tanta forza che neppure i più valorosi potevano resistere"(Pluta. vita di T. Quinzio Flaminio).
Sostanzialmente la falange carica in avanti con un muro di lance e i legionari possono solo arretrare, almeno finché non si arriva su un terreno collinare su cui la falange si scompone, come a Cinocefale, o la si bersaglia di giavellotti e proiettili per sfoltirne i ranghi che ne costituiscono la difesa migliore; a Magnesia al Sipilo nel 189 a.C. l'ala destra di Antioco III stava per sfondare la controparte romana mentre il centro (ovvero la falange) aveva impegnato i legionari romani ma l'ala sinistra siriana aveva perso e quindi la falange fu attaccata sul fianco sinistro e alle spalle e distrutta sul posto.
In sostanza si può dire che la falange può competere con le legioni manipolari, e forse anche con quelle coortali (cioè formate da coorti), solo se ha i fianchi protetti e quindi riceve attacchi solo sul fronte dove può tenere il nemico sotto costante pressione grazie alla capacità di mantenere un muro continuo di lance, ovviamente la falange può mantenere la sua coesione ed efficacia solo su un terreno pianeggiante e quindi favorevole.

FONTI
PLUTARCO, Le vite parallele, Filopemene e Tito Quinzio Flaminio; Pirro e Mario, a cura di G. Marasco, UTET, Totino 1994
POLIBIO, Storie, a cura di R. Nicolai, Newton & Compton Editori, Roma 1998

BIBLIOGRAFIA
GIOVANNI GERACI-ARNALDO MARCONE, Storia romana, Le Monnier Università, Firenze 2004
ANDREA FREDIANI, Le grandi battaglie di Roma antica, Newton & Compton Editori, Roma 4° edizione 2003
DOMENICO MUSTI, Introduzione alla storia greca, Editori Laterza, Roma-Bari 3° edizione 2004
GIOVANNI BRIZZI, Il guerriero, l'oplita, il legionario, gli eserciti nel mondo classico, il Mulino, Bologna 2002
ADRIAN GOLDSWORTHY, Storia completa dell'esercito romano, Logos, Modena 2°edizione
MASSIMO BOCCHIOLA-MARCO SARTORI, Canne, descrizione di una battaglia, Mondadori, Milano 2008

martedì 19 maggio 2009

La falange macedone

La Macedonia nell'età antica è un piccolo regno al margine del mondo greco, tanto che i greci considerano i macedoni come dei lontani cugini, se non dei barbari; questo territorio montuoso ha creato una popolazione di cavalieri e non di opliti come i greci.
Il re macedone Filippo II, padre di Alessandro III chiamato poi il grande, fu tenuto in ostaggio a Tebe da ragazzo ed ebbe modo di conoscere Epaminonda e la sua tattica obliqua che rende la falange più agile, ma si rende conto che la falange come struttura è comunque pesante e poco flessibile.
Tornato in patria e divenuto re nel 359 a.C alla morte del fratello Perdicca III e dovento lottare subito contro gli illiri e altri popoli confinanti deve riformare l'esercito e mette in pratica gli insegnamenti ricevuti da giovane; l'esercito che creerà sarà uno dei più potenti mai visti, capace di poter competere anche con Roma se ben guidato ed equipaggiato.
L'esercito macedone per primo ha reparti specializzati per ogni parte dello schieramento: la falange al centro con alle ali reparti di fanteria leggera-pesante e più esternamente reparti di cavalleria pesante che avevano il decisivo compito di accerchiare il nemico e spingerlo contro il centro; ecco l'innovazione, non è la falange al centro a dover sfondare il fronte nemico ma è la caalleria pesante che deve farlo.
L'unità base della falnge è il syntagma, un quadrato di 16 uomini per lato per un totale di 256 e quindi con una profondità notevole e adatta a mantenere impegnato, o se necessario a sfondare, il centro avversario; il sintagmatarca che guidava il reparto era disposto nell'angolo a destra ma grazie agli ufficiali subalterni aveva il controllo di ogni singola fila guidata da un lochagos e da un ouragos disposto sull'altro fianco del sintagma. Dopo il sintagmatarca che comandava le 16 file venivano: il tassiarca che ne comandava 8, il tetrarca che ne comandava 4 e il dilochites che ne comandava 2 con in fondo un altro ouragos col compito di raccogliere eventuali sbandati e tenerli in formazione, in aggiunta ad un trombettiere e un segnalatore.
Questi syntagmata erano riunite in tàxeis da 1536 soldati ciascuna, a Gaugamela per esempio Alessandro ne aveva 6; sui fianchi della falnge si dispongono i 3 battaglioni da 3000 ypaspistai o ipaspisti (portatori di scudo, Arriano li chiama gli scudati) un reparto di fanteria leggera, l'armamento degli scudati non è perfettamente noto ma le loro funzioni si, proteggevano i fianchi della falange mantenendo nel contempo i contatti con la cavalleria e appoggiandone gli attacchi e questo richiede un armamento leggero ma capace di poter sostenere uno scontro con reparti più pesanti.
Oltre agli ipaspisti si trova la cavalleria, l'arma più potente della macedonia, organizzata in 8 squadroni (ìlai) divisi in 4 tetrarchie da 50 uomini ciascuna, questi erano gli hetaìroi ovvero i compagni del re, a questi nobili si aggiungevano i reparti di cavalleria alleati (in genere tessali) e mercenari più il reparto scelto cioè l'àghema, la guadia reale.
Ogni soldato della falange ha un armamento completamente diverso rispetto agli opliti: oltre all'elmo e agli schinieri di bronzo ha un'armatura leggera in lino pressato e solo le prime linee ne erano dotate, la sua arma più potente è la sarissa cioè una picca da 5-6 metri ca.secondo Teofrasto che consentiva ai primi 5 ranghi dello schieramento di contattare contemporaneamente il nemico mentre le restanti file tenevano le picche con un a angolazione sempre più verticale e agitandole in aria così da creare un muro di lance sia verso il nemico sia verso l'alto per deviare una parte delle freccie.
Oltre alla picca ogni falangita o pezhetaìros (compagno a piedi) dispone di uno scudo o aspis da 60 cm. appena che tiene legato al collo e al braccio sinistro, per avere le mani libere e tenere la picca, più una spada corta come una kòpis ma adatta a colpire di punta.
Gli ipaspisti invece erano armati alla leggera con uno scudo piccolo, forse un pelta, un elmo in bronzo, una kòpis e alcuni giavellotti; la loro capacità di muoversi con agilità e velocità dà loro la possibilità di appoggiare la cavalleria ma possono anche affiancare la fanteria pesante e affrontare quella nemica se serve; la cavalleria macedone è invece divisa in leggera e pesante.
La cavalleria leggera (pròdromoi) è priva di armature ma è dotata di lance lunghe 4 metri che leconferisce un forte potere di penetrazione, quella pesante invece è protetta da corazze ed elmi, dotata anch'essa di lance da 4 metri e spade.
Come esercito quello macedone è quasi l'esercito perfetto, quasi nessun punto debole, reparti specializzati con compiti specifici, con armi mediamente superiori a quelle nemiche; i soldati di Filippo sono ben pagati e possono mantenersi in armi più a lungo di quanto possono o vogliono fare gli opliti cittadini della grecia e in più sono addestrati a portarsi addosso provviste per diversi giorni e questo rende l'intero esercito più snello e agile nelle marce; alessandro spesso piomba sui nemici con la cavalleria appoggiata dagli ipaspisti per impegnarlo, con al seguito la fanteria pesante per sconfiggerlo.
Infatti la tattica macedone è semplice: mentre il centro è studiato per impegnare il centro nemico e bloccarlo sul posto, l'ala sinistra ha il compito di bloccare l'ala destra nemica ed impedisce l'aggiramento. L'ala destra macedone invece è composta da cavalleria pesante, leggera e da ipaspisti e fanteria leggera e deve sfondare l'ala sinistra avversaria e in seguito attaccare alle spalle il centro nemico bloccato dalla falange; questa tattica può causare perdite terribili al nemico, mentre in una normale battaglia tra pòleis i morti arrivavano a poche centinaia, per esempio nella battaglia di coronea del 447 gli ateniesi perderanno un migliaio di morti mentre a cheronea l'esercito ateniese soffrirà 1000 morti con i suoi 3 generali più 2000 prigionieri, dell'esercito tebano invece non si conoscono le perdite di preciso ma viene quasi annientato tanto che il battaglione sacro (vedi la falange greca) viene distrutto fino all'ultimo uomo.
Tra le armate persiane il numero dei morti sarà enormemente superiore.
La falange può funzionare perfettamente se ha i fianchi coperti dalla cavalleria e infatti nell'esercito di Alessandro a Gaugamela la cavalleria conta 7000 uomini mentre la fanteria 40000, quindi quasi 1/5 dell'esercito è formato da cavalieri, in età più tarda si assiste ad un aumento della lunghezza della sarissa che arriva quasi a 7 metri ma diminuisce la cavalleria, a Pidna nel 168a.C. il re macedone Perseo avrà 40000 fanti e 4000 cavalieri quindi 1/10 solo delle sue forze saranno di cavalleria.

FONTI
ARRIANO, Anabasi di Alessandro, a cura di D. Ambaglio, Bur, Milano 4° edizione 2007
POLIBIO, Storie, a cura di R. Nicolai, Newton & Compton Editori, Roma 1998

BIBLIOGRAFIA
ANDREA FREDIANI, Le grandi battaglie di Alessandro Magno, Newton & Compton Editori, Roma 2004
DOMENICO MUSTI, Introduzione alla storia greca, Editori Laterza, Bari 2004
GIOVANNI BRIZZI, Il guerriero, l'oplita, il legionario, gli eserciti nel mondo classico, il Mulino, Bologna 2002


lunedì 18 maggio 2009

La falange greca

La falange greca (phàlanx) è una formazione chiusa ed estremamente compatta, consiste nel formare un muro di scudi da cui colpire il nemico con lance e spade formato da soldati in armatura pesante.
Nata intorno alla metà del VII sec. a.C. la falange dominerà i campi di battaglia dell'Ellade fino alla sconfitta inflitta dai macedoni prima e dai romani poi; lo scontro falangitico prevede che due formazioni di fanti pesanti si scontrino finché una delle due cede e va in rotta e questo richiede due caratteristiche fondamentali: l'armamento adatto e un addestramento specifico unito ad un forte spirito di corpo.
Studiamo ora l'armamento, il fante o oplita (hoplites=colui che usa le armi) è armato con uno scudo rotondo, l'hòplon, del diametro di circa 90 cm. in legno con un rivestimento esterno di bronzo e la grande innovazione di questo scudo, detto anche argivo, consiste nella sua impugnatura che comprende l'imbracciatura (pòrpax) e la presa per la mano (antilabé), questo tipo di impugnatura consente di usare tutta la muscolatura del braccio per sopportare il notevole peso dello scudo, 9 k. ca., ma nel contempo si può dire che lo blocca.
Infatti la larghezza dello scudo copre sia il soldato che lo porta sia quello alla sua sinistra e così si ottiene un muro continuo di scudi che contemporaneamente protegge e tiene unita tutta la linea di fanti, infatti se uno dei fanti nella prima linea dovesse fuggire si creerebbe un varco che nel momento dello scontro e della spinta delle linee nemiche porterebbe alla rottura del proprio fronte.
Il fante è armato anche con un'armatura pesante in bronzo, o in lino pressato nei periodi successivi, porta dei gambali e un elmo in bronzo; mentre per l'attacco è dotato di una lancia di due metri ca. e di una spada (kòpis) ricurva ed estremamente tagliente sul lato interno, oltre a ciò anche lo scudo può essere usato come arma poiché gli opliti sono addestrati a spingere la linea nemica ma hanno anche la possibilità poter colpire i nemici con lo scudo purché non si scoprano troppo.
Come dicevamo sopra un altro valore fondamentale della falange è lo spirito di corpo e la coesione, entrambi non facili da creare e soprattutto mantenere, infatti questi soldati erano cittadini delle poleis che si compravano l'armamento e difendevano le loro città e i loro diritti da eventuale asservimento (spauracchio terribile per tutti i greci) e questo spingeva il singolo a sentirsi parte di un tutto, di un ordinamento ovvero di una tàxis che doveva avanzare in formazione e colpire con la lancia i suoi avversari senza lasciare il suo posto, famoso è il frammento del poeta Archiloco di Paro contemporaneo di questa rivoluzione:

Uno dei Sai si gloria dello scudo, che presso un cespuglio, strumento perfetto, dovetti lasciare, pur senza volerlo; la vita, d'altra parte, l'ho salvata: di quello scudo che cosa m'importa? Che vada in malora: di nuovo me ne procurerò uno, non peggiore.
Gli opliti erano addestrati ad evitare proprio tale gesto, il gettare lo scudo e fuggire voleva dire creare una crepa nella falange e forse causarne la rottura, e in più lo scudo aveva una grande importanza sia in dignità che in denaro.
Il grande punto debole della falange greca erano i fianchi, infatti questo monolitico reparto di opliti poteva avanzare e colpire con efficacia solo sul fronte e sostanzialmente avanzare in avanti e questo lo esponeva ad aggiramento o accerchiamento.
Questa era un'eventualità non troppo frequente visto che le varie poleis combattevano allo stesso modo ma verso l'inizio del IV sec. a.C il generale ateniese Ificrate di Ramnunte unì all'esercito ateniese una tipologia di soldati innovativa sia per armamento che per scopi, i peltasti.
Le varie falangi avevano sempre avuto un leggero velo di fanteria leggera e cavalleria sia per attaccare che per proteggere i fianchi ma con i pelasti le possibilità aumentano, i peltastoi (portatori di pelta) sono fanti armati con un piccolo scudo a mezzaluna, il pelta appunto, e con giavellotti e spade quindi sono dei fanti armati alla leggera, ma essendo inquadrati in reparti specifici possono attaccare col tiro di proiettili o rapidi attacchi anche la fanteria pesante e nel 390 a.C vicino al lèchaion, il porto orientale di Corinto, Ificrate distruggerà una delle sei more dell'esercito spartano proprio con i peltasti.
Un altro grande innovatore sarà il generale tebano Epaminonda che nel 371 a.C. a Lèuttra distruggerà l'esercito spartano cambiando lo schieramento della falange e rendendola più dinamica, infatti era consuetudine che i reparti migliori si disponessero sul fianco destro e che l'esercito avesse la profondità di almeno 8 linee e avendo i reparti più forti sui fianchi opposti, a volte, i due eserciti si trovavano a girare per la spinta attuata da questi reparti.
Intuito questo Epaminonda dispose il suo miglior reparto, il battaglione sacro composto da 150 coppie di omosessuali, più la sua guardia e gli altri reparti migliori sul suo fianco sinistro e quindi di fronte al re spartano Cleombroto ma con uno spessore di 12 linee, mentre il suo centro era composto di 8 linee e la sua ala destra di 4 linee, la sua destra essendo più debole fu disposta in posizione più arretrata in modo da entrare in contatto quando ormai l'ala più forte, cioè la sinistra aveva già vinto; questa falange inclinata diede ottimi risultati: gli spartani lamentarono la perdita di 400 dei 700 degli spartiati presenti, la morte dello stesso re Cleombroto più la morte di almeno altri 2000 soldati, cifre molto elevate per una battaglia tra poleis.
FONTI
ERODOTO, Storie, Oscar classici greci e latini, Milano 2000
SENOFONTE, Anabasi, Bur, Milano 1994/2000
BIBLIOGRAFIA
GIOVANNI BRIZZI, Il guerriero, l'oplita, il legionario, Gli eserciti nel mondo classico, il Mulino, Bologna 2002
DOMENICO MUSTI, Introduzione alla storia greca, Editori Laterza Roma-Bari, 3° edizione 2004
CINZIA BEARZOT, Manuale di storia greca, il Mulino, Bologna 2005
PAUL K. DAVIS, Le 100 battaglie che hanno cambiato la storia, Newton & Compton Editori, Roma 2003